venerdì 12 settembre 2008

Martedì pomeriggio sono andato al Teatro Dal Verme a vedere la London Sinfonietta. Ci sono andato per tre ragioni:
1- al momento sono ancora disoccupato e quindi flaneur a tempo pieno (c'é da dire che Milano offre molto a quelli come me - anzi, c'é così tanto da vedere che bisognerebbe non lavorare mai);
2- era gratis;
3- ho un disco loro a casa (quello uscito su Warp...non credo di averlo mai ascoltato una volta dall'inizio alla fine). Ho sentito l'esigenza di ampliare un po' i miei orizzonti musicali con nuove coordinate...non posso continuare ad andare in giro ascoltando Cheap Trick e Cars.

Harrison Birtwistle, chi era costui? Compositore inglese contemporaneo autore delle due lunghe composizoni eseguite dall'orchestra: Orpheus Elegies (per oboe, arpa e controtenore) e The Axe Manual (per pianoforte e percussioni). Pubblico per gran parte composto da anziani e turisti di passaggio. Pensionati che hanno letto la pagina degli appuntamenti sul Corriere Della Sera e cercano un modo per passare il pomeriggio (il concerto era alle 17). Sulla brochure dell'evento c'é scritto che il punto di riferimento di Birtwistle é Stravinskij anche se il ritmo é concepito con un criterio più cronometrico. Non conosco né Birtwistle né Stravinskij. Ho deciso che approfondirò la musica classica nel corso della mia quarta età. Non sono ancora pronto. Mi vergogno ma non ce la faccio. Musicisti della stramadonna per carità...peccato che per gran parte del concerto ho avuto in testa solo il riff di You Might Think. Me so' fatto na' dormita...

martedì 9 settembre 2008


Ricordo una vecchia bici Bianchi color verde acqua di mio padre. Quando non la usava lui per andare a lavorare era tutta mia e potevo scorrazzare per la città. Andavo a zonzo senza meta, per le vie della Pista e del Villaggio Europa. Impennavo, simulavo gli scatti e le volate, andavo senza mani. La trattavo malissimo sbattendondola di quà e di là senza ritegno ma lei resisteva sul filo del suo crollo strutturale. Era la mia bici del "No Future". D'estate la pigliavo per andare al bowling a Casalbagliano. Con me avevo sempre il mio walkman e quasi sempre la stessa cassetta. Era la memorbile estate del '90, quella di Totò Schillaci nonché quella in cui mi beccai tre materie: italiano, matematica e inglese. Quella cassetta era London Calling dei Clash. La comprai da Otello con 8500 lire. La prima cosa ad attirarmi era la foto in copertina. Certi dischi sono rock'n'roll fin dalla copertina. London Calling era uno di quelli. Non potevi sbagliarti. Una perfetta simbiosi tra suono e visione. Come l'icona di Santa Patti Smith su Horses o il cesso su Beggars Banquet degli Stones. Ognuno sceglie il suo immaginario a sedici anni...io venivo da una lunga fase in cui non riuscivo più a digerire un sibilo di synth o una chitarra che non avesse almeno un po' di distorsione. Una fase in cui mi perdevo fissando le copertine dei dischi: guardavo il dirigibile su Led Zeppelin I associando il souno vorticoso e roboante che si sente prima del ritornello di Babe, I'm gonna leave you a quello immaginato dalla mia mente del dirigibile che schianta al suolo. Ero malato. E lo sono tutt'ora. Magari un giorno vi parlerò degli effetti che ha avuto sulla formazione del mio immaginario rock la copertina del primo Black Sabbath...
Scalavo il cavalcavia che collega il quartiere Pista (dove abitavo) con il Cristo, scendendo a fuoco con I'm not down a fuoco nelle cuffie tra i vapori dell'asfalto rifuso dal caldo del luglio alessandrino, in quelle serate in cui si mangiavano le zanzare e le si bevevano assieme alla birra. Pensavo alle bombe spagnole, a Stagger Lee, Jimmy Jazz e le pistole di Brixton e a quella grande idea di punk rock che é London Calling. I Clash avevano a che fare con il rock'n'roll e tutto ciò che aveva a che fare con il rock'n'roll. Gente con la dinamite addosso.
Al bowlng spendevo le mie due o tre millette (tremila lire, ndr) a quei giochini del cazzo mentre il mio amico fenomeno del basket detto Jabba (in onore di Kareem Abdul Jabbar) tirava di stecca e diceva di essere capace di fare il volo del calabrone con la sua Stratocaster proprio come Stevie Ray Vaughan. Io però avevo in testa quella frase di Dylan che dice: "Se vuoi essere un fuorilegge, devi essere onesto". Forse la pensavo proprio riferita a Joe Strummer.
C'era anche il reaggae che ascoltavo al Subbuglio quando cercavo di drogarmi con risultati altanelanti. Giocavo a bigliardino e vedevo gli omini del calciobalilla scattare sulla fascia. In fondo della Jamaica in quel preciso momento della mia vita non é che me ne fregasse molto.
London Calling per me era una grande festa, un disco da viaggio anche se dentro c'erano le bombe spagnole di cui non sapevo ancora niente. Era suonato come se fosse l'ultimo disco di rock'n'roll. Era ed é il più grande disco di rock'n'roll di tutti i tempi. Almeno per chi scrive. Lo portavo sempre con me. Un disco open air. Da macchina. Da bici. Da passeggio. Ovunque. Poi tornavo a casa e m'addormentavo con Doolittle dei Pixies sognando di saper fare anch'io le parti di Joey Santiago.