martedì 18 marzo 2008






Ieri mattina avevo appuntamento a Varedo con un cliente. Sono partito da casa alle 8.15 e sono arrivato a destinazione alle 10.45. Credo di aver stabilito un record mondiale: 2 ore e mezza per fare 12 km!!!
Incidente in zona Niguarda. Traffico sconvolto per ore. Viale Marche, Lunigiana ed Enrico Fermi a passo d’uomo, per lunghi tratti completamente fermi. La gente che incomincia a sclerare: chi scende dalla macchina rassegnato, chi prende a pugni il clacson, chi si manda a fare in culo senza un motivo se non per il solo fatto di essere/esistere e quindi di darsi fastidio reciprocamente.
Io ce la metto tutta tirando fuori le mie scorte di autocontrollo. Ma è dura. Provo con Radio Popolare ma le notizie catastrofiche su Kosovo, Cina ed economia italiana mi fanno scazzare ancora di più. Fumarsi una sigaretta col finestrino giù in coda dietro a un tir non é molto salutare. Scelgo allora la terapia d’urto: metto su Nobody’s Watching, il live dei Pernice Brothers e lo sparo a fuoco per vedere cosa succede.
Una mossa azzeccata.

Intono il mio singalong personale su ogni pezzo noncurante dell'opinione altrui, di chi mi passa a fianco e mi vede impugnare il cellulare come un microfono oppure picchiare sul volante come se fosse il rullante di una batteria. Come d’incanto cambia la mia visone della situazione. Incomincio a fare finta di essere il protagonista di un videoclip dei Pernice Brothers. La storia di uno pagato per vendere lamiera ma che in realtà é perennemente in balia delle melodie che invadono e pervadono la sua testa. Guidato dalle voci dell’ispirazione. Sempre. Anche nelle situazioni meno indicate alla fruizione della musica.

È da un po’ che voglio rendere omaggio a Joe Pernice.
Joe Pernice è un grande. Pochi contemporanei sanno scrivere canzoni come lui. Pop nell’accezione più nobile del termine. Qualcuno potrebbe dirmi giustamente: “ma i fratelli Gallagher, Robert Pollard, Stephen Merritt e i Teenage Fanclub dove li metti?”. Ok ragazzi, ma sono un’altra cosa...
Il nome di Joe Pernice può stare tranquillamente insieme a quelli sopracitati senza sfigurare assolutamente. Anzi.
Forse lui è sempre stato uno poco appariscente sia a livello fisico e che mediatico. Non si è mai vestito da mod all’inizio degli anni ’90, non è rientrato appieno nell’hype slacker, non è mai stato gay e non ha mai avuto un Nick Hornby qualunque che citasse un suo pezzo in una playlist.
Però, mi ripeto, è un grande artigiano del Pop. Un po’ Morrissey, un po’ Wilson e un po’ Harrison.
Soprattutto MOLTO se stesso.

Ho letto anche il suo libro su Meat Is Murder. Ho apprezzato molto il suo modo di trattare l’argomento, senza la spocchia del critico musicale, relazionando le sue esperienze d’ascolto del disco con i suoi effetti in età adolescenziale e i risvolti che questo ha avuto nel proseguo della sua vita. Leggendo il libro si è creata subito nella mia testa la sceneggiatura del filmino che nessuno girerà mai. 1985: una scuola cattolica di Boston, umiliazioni nell’ora di ginnastica, le prime sigarette, gli attacchi d’asma, le prime infatuazioni e una cassetta con sopra registrato Meat Is Murder.

Tra l’altro Meat Is Murder è il disco che ho ascoltato di più in questi ultimi mesi…sì, lo so: ci sono i muggiti delle mucche al macello ma quello che fa Johnny Marr con la chitarra è pazzesco. Nessuno come lui. Unico. Come Joe Pernice quando fa la cover di Talk Of The Town dei Pretenders.
P.S. La prossima volta che mi capita una merda del genere spero di avere con me Reign In Blood degli Slayer.

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